L’Archivio Rame-Fo è fermo da oltre 5 anni: ministro e istituzioni si sveglino a realizzarlo
di Fabio Sparagna
IL FATTO QUOTIDIANO Domenica 28 Marzo 2021
Sono passati cinque anni dalla stipula della convenzione tra l’allora MiBacT, la Direzione generale degli archivi e la famiglia Fo che ha permesso di spostare presso la nuova sede dell’Archivio di Stato di Verona gran parte dei materiali che costituiscono l’Archivio Rame Fo, fortemente voluto dalla coppia e in particolare dall’attrice, che vi si è dedicata dal 1993 fino alla morte nel 2013.
UNO STRAORDINARIO INSIEME di carte, immagini, oggetti di scena, opere pittoriche, oltre a testimonianze dei primi anni di vita di Dario Fo e tracce della famiglia Rame – una delle più antiche famiglie di teatranti girovaghi – risalenti al XVIII secolo, che permise anche l’inaugurazione del MusALab, museo-archivio-laboratorio che puntava a valorizzare quello che è un patrimonio riconosciuto non a caso “d’interesse storico particolarmente importante”. L’intesa raggiunta nel marzo 2016 si accompagnava alla promessa dichiarata di trovare presto una sede autonoma in grado di ospitare un polo archivistico-museale all’avanguardia, accogliendo tutto il materiale rimasto a Gubbio (Pg) – oltre 600 ore di teche e la documentazione dell’attività della coppia dal 2001 in poi – e le centinaia di opere del Premio Nobel rimaste negli scatoloni. “Io ci credo”, dichiarava lo stesso Fo, proprio poco prima di lasciarci il 13 ottobre dello stesso anno.
Ma da allora nulla è cambiato. Neanche il ministro a dire la verità: fatta salva la breve parentesi del governo gialloverde, oggi come allora si tratta di Dario Franceschini. Con il nuovo governo, la sua denominazione è diventata “ministro della Cultura”, ma del nuovo museo non c’è ancora traccia.
È per questo che, in coincidenza con il 95esimo anniversario della nascita di Fo (il 24 marzo) e sulla scia delle celebrazioni per i 50 anni di Mistero buffo, la Fondazione Fo Rame ha dato il via alla campagna “Un (vero) museo per Dario Fo e Franca Rame”, chiedendo al mondo della cultura di sottoscrivere l’appello che chiede di dare seguito alle promesse. Già numerose le adesioni, da Paola Cortellesi a Marco Travaglio, da Antonio Ricci a Roberto Vecchioni. “Ci rivolgiamo al ministro, ma anche ai Comuni che possono mettere a disposizione spazi idonei e a chiunque può contribuire – ci dice Mattea Fo, nipote della coppia e presidente della Fondazione –, siamo aperti al dialogo”. L’occasione è rappresentata anche dal rinnovo automatico della convenzione, che si avvia verso il secondo quinquennio. “Ma serve uno spazio più grande”, dice Fo. “Verona e il personale archivistico ci hanno dato molte possibilità, ma al momento lo spazio espositivo, allestito a nostre spese, può ospitare solo 40 opere. Sono 500 solo i quadri di Dario Fo ancora nei cassetti. Per non parlare dei tanti materiali audio e video che potrebbero confluire in un vero archivio integrato, aperto alla cittadinanza”. Assieme al padre Jacopo e al resto della famiglia, si batte a questo scopo da anni. Ma, dopo lo slancio iniziale, non sono arrivate vere risposte dalle istituzioni.
“Fu lo stesso ministro a proporci di costituire una fondazione per avere un supporto economico, ma tuttora continuiamo a non ricevere finanziamenti pubblici”. Ora il nuovo tentativo. In un momento così difficile per l’arte, una svolta sarebbe senz’altro un segnale importante.