“Retrospective”, un giornale internazionale fondato dagli italiani di Londra
Letteratura, arte, cinema, teatro, design, in una rivista illustrata quadrimestrale pubblicata da Glauco Della Sciucca…
Nata a Londra il 5 febbraio scorso, Ghislandi & Gutenberg Ltd, nuova e innovativa Casa Editrice multimediale internazionale – tra le cui attività in cantiere e allo studio figurano un prestigioso giornale di prossima pubblicazione, libri, la produzione e divulgazione di Masterclass, Workshops, Happenings di convergenza tra teatro e televisione, la pubblicazione di podcasts e di dischi in vinile (di “Parlato”, musica sperimentale e Readings), e un grande Festival annuale multidisciplinare (da filmare sullo stile dei grandi e iconici cinedocumentari anni sessanta e settanta) tra Arte, Letteratura, Architettura, Filosofia, Antologia delle Idee, Dibattito, Musica, Cinema, Cultura, Pensiero.
Ghislandi & Gutenberg, fondata e sviluppata (in pieno lockdown per il Covid19) da Glauco Della Sciucca (regista cinematografico, autore, produttore, giornalista professionista, disegnatore e imprenditore tra le cui esperienze internazionali figurano il leggendarioThe New Yorker, Swatch Group,The New York Review of Books (La Rivista dei Libri), Columbia Journalism Review, film lungometraggi come Humanism! A New Comedy e coproduzioni cinematografiche quali A cup of coffee with Marylin, cortometraggio con Miriam Leone vincitore del Nastro d’Argento 2020, è già fondatore del brand britannico HBF unitamente al celebrato architetto Luca Bombassei, azionista con la sua famiglia di Brembo Spa, e allo storico Regista dei Beatles Sir Michael Lindsay-Hogg) insieme, tra gli altri, a Lorenzo Tamburini (CinemaItaliaUK) e al creativo Mario Di Paolo (pluripremiato imprenditore internazionale a capo dell’esclusivo hub SpazioDiPaolo, già immortalato da Taschen e più volte protagonista agli European Design Awards, Los Angeles International Wine Competition, fino ai premi speciali al Vinitaly e i Pentawards), sta già lavorando al suo primo ambizioso progetto editoriale: “Retrospective”.
“Retrospective” – questo il suggestivo nome del giornale fondato e diretto da Glauco Della Sciucca insieme agli altri fautori della casa editrice londinese Ghislandi & Gutenberg – nasce inizialmente come periodico, ovvero nello specifico del suo N.1 come Quadrimestrale Internazione di Arte|Cinema|Letteratura|Teatro|Storia|Architettura|Filosofia|Musica|Design|Satira|Antologia delle Idee|Sperimentazione|Utopia. Splendido e Timeless nel suo formato tabloid 55×39 cm. Inchiostro nero speciale su carta molto sofisticata, “solo carattere tipografico e parola” – come afferma Della Sciucca – su sei colonne. Una rivista da collezione, vero oggetto culturale e del pensiero – anche in ragione della sua scelta di non distinguere autori di oggi da autori passati (là dove invero i testi verranno pubblicati proprio a loro firma come fossero essi tuttora annoverabili tra i viventi, in una vocazione evidente e netta ad affermare il potere delle idee e del pensiero e dell’immaginazione sullo status di quegli stessi loro autori che nella Storia della cultura contemporanea hanno o ebbero elaborato e divulgato quelle idee, quelle opinioni, quel pensiero, quelle Parole), vivi “da non più vivi…”.
Un giornale iconico, vero oggetto di culto, e da portare con sé ovunque, incluso – sostiene ancora il suo direttore – “…nelle tasche di una giacca se non mettendolo in bella vista nel salotto migliore e nei prossimi luoghi del Confronto”, invero e proprio viepiù alla stregua di un grande giornale del passato, che irrompa ordunque sul mercato di riferimento come un grande classico pur nascendo oggi: assenza totale di corredo fotografico e disegni, ecco un altro aspetto evidenziato e rimarcato da Ghislandi & Gutenberg. E una foliazione iniziale molto generosa.
Il giornale, che si prefigge di esser disponibile nelle migliori librerie delle più importanti città in Europa (Londra, Milano, Venezia, Bologna, Roma, Parigi, Monaco di Baviera, Bruxelles, Amsterdam, Barcellona) e Scandinavia, senza tralasciare la città di New York Berkeley e San Francisco e ovviamente la possibilità, non secondaria, di esser acquistata attraverso i canali del commercio elettronico.
Nella medesima edizione, unica e universale per tutti i mercati, Retrospective pubblicherà – là dove possibile, e compatibilmente con gli accordi internazionali presi fin dal numero di debutto – testi e contenuti disponibili alla lettura nella lingua originale del loro autore. Verranno ordunque pubblicati, sullo storico numero uno da conservare, in uscita a fine novembre, contenuti, tra gli altri, in italiano, inglese, americano, francese, spagnolo, tedesco.
Piatto forte del progetto, il grande colpo degli accordi ufficiali presi a livello mondiale per la pubblicazione di splendide interviste a Jean-Luc Godard, Lawrence Ferlinghetti, Mario Monicelli, Abel Ferrara, Ettore Spalletti, Barry Miles (fondatore dell’International Times), Demetrio Stratos, Deborah Kooperman, e testi (monologhi o alternativamente poesie, saggi, dialoghi, racconti, romanzi brevi, testi autobiografici, aforismi) di Dario Fo (in partnership ufficiale con la Fondazione Fo Rame), Franca Rame, Hannah Arendt, Goffredo Fofi, Michel Foucault, Sir Michael Lindsay-Hogg, Piero Umiliani (in un suggestivo testo postumo in inglese su Chet Baker), gli accademici e intellettuali Angelo d’Orsi, Kilian Stauss (da Monaco di Baviera con un saggio in tedesco), Piero Pieri (su Giorgio Bassani), Paola Perazzolo e Thomas Casadei con Etienne Balibar, Bridget Arsenault (Vanity Fair versione England), Flavia Fratello (proprio la giornalista e conduttrice di Omnibus su La7), Teresa Guccini, Rae Niwa da Los Angeles con un saggio esclusivo su Yoko Ono, Yona Friedman e il suo celebre Manifesto, Huw Parmenter, il regista David di Donatello per “Kubrick” Alex Infascelli, l’autore Leonardo Dooderman, la Regista Elisa Fuksas, Stefano Senardi (produttore discografico già presidente di Polygram), Bettina Gilois (sceneggiatrice americana di origine tedesca), il disegnatore già al New York Times Mark Podwal, Luca Sossella (proprio l’editore), Andrea Cortellessa, Stash Klossowski De Rola (figlio di Balthus), l’architetto Sandro Lazier, l’attrice Domiziana Giordano, Davi Kopenawa, Maria Clara Sharupi Jua con Lettera a Sepulveda, la poetessa tedesca Ilse Zipfel, Paolo Soraci su Sessantotto e Letteratura, Paolo Klun su Oriana Fallaci e i suoi anni con lei a Manhattan, la studiosa Francesca Tuscano su Fedor Dostoevskij e Pasolini, il celebrato musicista italiano a Parigi Andrea Manzoni, Jacqueline Greaves (da New York), Paolo Cavinato, l’artista e musicista Costanza Savarese, lo scrittore e critico Renato Minore, Buddy Winston (già autore al Jay Leno Show), Paola Squitieri su suo padre Pasquale e Claudia Cardinale, Chris Pierce con il testo di una sua canzone, la poetessa Inesa De La Roche, Marta Cocco, lo scrittore e stand-up comedian Saverio Raimondo, l’artista nordamericano Phil Haddock, Aristide Vecchioni, il poeta David Plante. Questo, e molto altro, sul primo numero di Retrospective, in uscita a fine novembre 2020, edito a livello internazionale da Ghislandi & Gutenberg Ltd, casa editrice fondata a Londra.
Ed ecco qualche domanda a Glauco Della Sciucca.
Perchè realizzare un progetto editoriale in questo periodo incerto e convulso. L’idea, lo scopo e le collaborazioni.
Suppongo sia la vita in sé, il fenomeno incerto e convulso per antonomasia. Tutto il resto ne è metafora. Ragion per cui non esistono momenti perfetti, per fare le cose. Così come ogni momento può esser quello giusto per dare un senso nuovo o rinnovato alla presenza della maschera che teatralmente indossiamo in Società. Siamo animali sociali, piuttosto deludenti in quanto tali; difficili al cambiamento, superficiali e pieni di pretese. Ogni tanto capita, succede – di sentirsi in dovere di Essere migliori: e allora di colpo ecco che arriva l’idea. E improvvisamente accade quel che un attimo prima non c’era: che si tratti poi di pittura, cinema, giornali o altro, non fa poi troppa differenza. E soprattutto non è poi così importante. Purché sia degno e intellettualmente onesto. Un nuovo giornale? Stiamo comunque e sol parlando di attività secondarie, non già trascendentali, spirituali, esistenziali, solidali in senso stretto o umanamente necessarie alla sopravvivenza della specie. Si parla di cultura, eccotutto – niente di più niente di meno. E arte. E comunicazione: insomma possiamo farcela, dico bene? Anche se succede per l’appunto in “periodo incerto e convulso”. Purché qualcuno ne goda, che si tratti di autori o lettori non fa differenza. Ma deve succedere. Questo, è l’importante. Nella realtà. Ovviamente siamo tutti felici di aver la possibilità di debuttare pubblicando Michel Foucault, Hannah Arendt, Dario Fo, Lawrence Ferlinghetti, Godard e tutti gli altri. Siamo stati solo molto fortunati, poco ma sicuro.
Retrospective propone un dialogo tra passato e presente, un formato tabloid, un progetto che profuma di carta e d’inchiostro nero, e tutto questo in un periodo storico che consacra il digitale e i social media quali mezzi incontrastati di comunicazione ed espressione, rivolti al futuro. È controcorrente, alternativo o rivoluzionario?
Retrospective semplicemente non risente delle condizioni ambientali culturali in cui debutta. Voglio dire: il mondo è cambiato, va bene. Ma lo si dice dalla Notte dei Tempi. E comunque il pianeta su cui viviamo non è digitale. Il digitale è una cultura, va bene, ma di culture e subculture ce ne sono migliaia, nel mondo. Esiste cioè anche un mondo digitale, certo, ma questo non racconta né rappresenta il mondo o l’intero Mondo. In sostanza. Il mondo, parola ricorrente e me ne scuso, non sta veramente cambiando. La cultura di massa, è cambiata. E un certo modo di fare industria. Tutto il resto è Pianeta Terra: il solito posto da salvare e proteggere, insomma. E dove tutto accade secondo un principio in fondo elementare: quello che vede la Storia ripetersi ciclicamente. E dove pertanto, per capire gli eventi e i mutamenti, bisogna necessariamente ragionare in prospettiva storica: esattamente quel che Retrospective si propone di fare. Incastonarsi nella contemporaneità senza troppo preoccuparsi di essere Nel Tempo o Fuori, dal Tempo. Parliamo di convenzione. Solo di convenzioni. Guardandosi dal distinguere autori viventi da passati, Retrospective tende esattamente a questo: essere nel Sistema da un punto di vista anticonvenzionale. Non siamo qui nemmeno per tentare, di contrastare i mezzi di comunicazione digitali. Non si pone il problema. Il digitale può ancora essere qualcosa di utile. E in questo senso non esistono preclusioni pregiudiziali. Solo tanta voglia di Dignità, Libertà di Pensiero, Approccio critico e adulto ai fenomeni che regolano la Società in cui viviamo, e i relativi mutamenti antropologici dei suoi attori, qualsivoglia ruolo essi ricoprano. Il tutto, attraverso l’abbattimento del mito del Tempo Presente. Retrospective in questo senso avrebbe potuto uscire anche nel 1972, nel 1959. O tra venticinque anni…
Perchè abbiamo bisogno di ricordare il pensiero libero di coloro che sono “consacrati” alla pagine di storia? É una necessità?
Non esiste ricordo, tantomeno nostalgia. Noi ci occupiamo di pubblicare idee. Punto. Quasi volutamente decontestualizzandole dal Momento storico nel quale sono state divulgate dai loro autori. Pubblichiamo Idee. Come provenissero e provengano dall’oggi di questo momento. Per questo un testo di Dario Fo, purtroppo non più fra noi, è a firma sua come egli fosse ancora qui, nella sua casa, a scrivere per noi. Lui è, qui. Oggi. Con la sua immaginazione. Il resto sono sovrastrutture culturali legate all’inconcepibile necessità collettiva di appartenere a un unico possibile tempo: quello scandito dal calendario. Nell’arte, nella cultura e nell’esistenzialismo questa forma di conformismo pur necessario in altri ambiti, parliamo ad esempio Scienza, non ha senso. Nessun metodo scientifico, nella selezione dei testi pubblicati e nell’elaborazione della linea editoriale di questo o quel Numero. Solo istinto, improvvisazione, umiltà e puro fatalismo. O come direbbe Paul McCartney: Chaos and Creation in the backyard.
In che stato di salute sono cultura e libertà di espressione a livello globale, e nello specifico in Italia e in UK?
Certamente, e scelgo consapevolmente di calarmi per un momento in una parte impopolare, non siamo nelle pessime condizioni che tutti siamo abituati a pensare ultimamente. Questa percezione delle “condizioni della cultura e della libertà di espressione” rappresenta solo l’alibi perfetto per molta gente, lo capisco e forse è inevitabile. Ma molta altra gente la pensa esattamente al contrario; nei momenti di grande recessione culturale e democratica, cioè, accadono le cose migliori: tornano di moda le idee. Qualcosa di cui lo stesso Sistema, strano a dirsi, ha bisogno. In questo senso, Italia o Gran Bretagna hanno gli stessi problemi. E le stesse potenzialità. Da Italiano, poi, ho troppo fiducia nella Storia e nell’Atto Creativo, per preoccuparmi di questi pur pietosi capitoli nei quali la cultura – ripeto: solo quella di Massa – versa. Nondimeno, la Cultura di Massa è stata sempre, quello che é. Tranne qualche eccezione, non credo sia mai stata la Mecca della Libertà di Espressione e di Immaginazione che pur testardamente vorremmo fosse.
Esplorare le Arti, assimilarne i vari linguaggi, ricercarne le espressioni più pure. Farsi mezzo per raccontare, condivide e custodire un Valore comune. La sua ricca attività artistica si rispecchia in questo?
Non conduco una vita artistica coerentemente tale. Ovviamente: potrei risponderle conoscendo le tecniche della comunicazione e del marketing, sapendo cioè come fare a darle la risposta più furba, quella buona ad alimentare oltremodo l’immagine di me che sembri arrivare alla gente attraverso quel che faccio. Ma io sono solo una Persona, questa è la verità. Una come tutte. Quando disegno, allora ecco che sono un disegnatore – giacché sto disegnando. Quando giro un film sono un autore o regista – in ragione del mio essere lì in quel momento. E se dipingo sono un pittore. E così via. La realtà è che vivo esattamente come vivevo 30 anni fa, da bambino, ragazzino: stesse idiosincrasie, stessi complessi, stessi beati problemi esistenziali. Stesse tensioni alle cose semplici e vere della vita. Sono in sostanza una persona. Complessa e provinciale come quasi tutte nella cultura occidentale. Ho mitizzato un sacco di cose. Oggi, rivendico il diritto ad affermare in tutta onestà che non esistono miti, solo narrazioni brillanti. Tra le due condizioni, a livello personale mi tengo la mia essenza di semplice persona curiosa, forse idealista, fondamentalmente e francamente poco interessata a miti come non so: l’esplorazione delle Arti. Non so cosa significhi, sebbene io capisca il senso giornalistico della sua domanda. Davvero. Non so cosa sia. O se preferisce: non credo esistano parole, per parlarne…
Articolo di Katya Marletta pubblicato su La Repubblica il 21 agosto 2020